Quando un bastone viene parzialmente sommerso in un recipiente d’acqua, si osserva un fenomeno alquanto bizzarro: sulla superficie dell’acqua il bastone appare spezzato. Questo fenomeno, noto fin dall’antichità, è causato dalla rifrazione della luce: il bastone appare spezzato a causa della deviazione che i raggi luminosi subiscono passando da un mezzo a un altro, nella fattispecie dall’aria all’acqua. In senso proprio, quindi, il fenomeno della rifrazione consiste nella deviazione dei raggi luminosi, rispetto alla direzione originaria, che si verifica sulla superficie di separazione di due mezzi otticamente diversi quando i raggi passano dal primo al secondo mezzo.
La legge di rifrazione è senz’altro una delle più semplici e importanti dell’ottica. Può essere espressa in questo modo: il raggio incidente, il raggio rifratto e la normale alla superficie nel punto di incidenza giacciono tutti nello stesso piano; il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza i (formato dalla normale e dal raggio incidente) e quello dell’angolo di rifrazione r (formato dalla normale e dal raggio rifratto), indipendentemente dall'angolo d'incidenza, si mantiene costante:
sin i/sin r = n.
Il valore di n è detto indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo. Nel caso di un raggio di luce che passa dall’aria all’acqua l’indice di rifrazione vale 4/3, e il numero n quindi è approssimativamente 1,33. In generale, la legge di rifrazione permette di stabilire come devierà la luce nel passare da un mezzo a un altro.
Feynman si addentra nella giustificazione della legge sulla base di un principio di minimo e pone degli interessanti interrogativi metodologici.
Con uno strumento costituito da un cerchio graduato
munito al centro di due indici per facilitare la misurazione degli angoli di
incidenza i e di rifrazione r, Tolomeo
ricava una serie di misure nei mezzi aria-acqua, aria-vetro, acqua-vetro. Nel
caso del passaggio della luce da un mezzo più denso a uno meno denso stabilisce
il valore dell'angolo limite per l'acqua. Per gli angoli di incidenza e di
rifrazione egli individua una relazione che associa a un valore dato di i, il
rapporto i/r. Questa assunzione verrà da molti intesa come una legge del tipo
i/r = costante, risultato questo che, per piccoli valori di i, e in buon
accordo con la legge della rifrazione.
Sebbene i tentativi di determinare la legge matematica della rifrazione risalgano all’Antichità e al Medioevo, la sua precisa formulazione fu data soltanto nel XVII secolo. I primi a scoprire la legge sembra siano stati l’astronomo e matematico inglese Thomas Hariot (1560-1621) e il matematico olandese Willebrod Snell (1591-1626), rispettivamente nel 1601/2 e nel 1621. Va comunque rilevato che questi autori, oltre a non pubblicare i loro risultati, non espressero la legge di rifrazione in termini di rapporto sin i/sin r, ma nella forma cosec r/cosec i. L’enunciazione esatta della legge di rifrazione venne offerta, per la prima volta, da Descartes (1596-1650) nella Dioptrique (1637).
Descartes, per spiegare la legge di rifrazione, istituiva un’analogia fra il moto di una palla e l’azione della luce e in questo modo arrivava al risultato tipico di una teoria emissionistica, ossia che la velocità della luce è maggiore nell’acqua che nell’aria. Questo risultato, però, era in contraddizione con il modello esplicativo adottato da Descartes, che non era di tipo emissionistico, ma implicava piuttosto che la luce si propagasse tramite il mezzo. La dimostrazione di Descartes non fu accettata in maniera acritica, ma suscitò subito polemiche molto aspre.
Pierre Fermat (1601-1665), matematico francese, fu tra i primi critici della dimostrazione di Descartes. Egli entrò in polemica fin dal 1637, ma espose la propria dimostrazione della legge di rifrazione soltanto nel 1662, in uno scritto intitolato Synthesis ad refractiones. Fermat non contestava il risultato fornito da Descartes sulla legge di rifrazione, bensì la sua dimostrazione, che considerava sbagliata e piena di paralogismi. La dimostrazione di Fermat della legge di rifrazione si basava su due elementi: 1) il principio del tempo minimo; 2) un’ipotesi relativa alla velocità della luce. Il principio di minimo, risalente a Erone d’Alessandria (I sec. d. C.), era una sorta di regola relativa all’economia della natura in generale e, nel caso dei fenomeni ottici, affermava che la luce impiegava appunto un tempo minimo nell’attraversare mezzi ottici fra loro diversi. Quanto alla velocità della luce, Fermat sosteneva, diversamente da Descartes, che essa diminuiva in funzione della crescita della densità dei mezzi.
Una corroborazione sperimentale della predizione di Fermat si avrà due secoli dopo, a opera di L. Foucault (1819-68), ma nell'ambito di una teoria sostanzialmente differente.
É interessante il fatto che si ritrovi la stessa legge sperimentale (quantitativa) in due interpretazioni teoriche differenti (corpuscolare e ondulatoria) con l'uso di due idee regolative differenti (causale e teleologica) e due predizioni sperimentali opposte (velocità maggiore e minore nel mezzo più denso). Un’indicazione dello sviluppo non linearmente accumulativo della ricerca scientifica, che proseguirà poi con il dibattito tra Huygens e Newton. Quest’acquisizione metodologica, staccandoci da un realismo ingenuo, ci consente anche di comprendere meglio gli interessanti commenti di Feynman.